Nature Communications

Interpretazione orbitalica di una reazione chimica in una cavità otticaInterpretazione orbitalica di una reazione chimica in una cavità otticaLa prima teoria orbitalica per molecole fortemente interagenti con campi elettromagnetici quantizzati

Gli orbitali molecolari sono uno strumento largamente utilizzato per razionalizzare e predire le proprietà e i meccanismi reattivi di complessi chimici. Un team internazionale di ricercatori dall’Italia e dalla Norvegia ha recentemente sviluppato, per la prima volta, una teoria orbitalica capace di investigare i cambiamenti che l’interazione con campi elettromagnetici quantizzati produce sulle molecole. Usando una metodologia innovativa il team ha dimostrato che la reattività chimica delle molecole può essere modificata attraverso un semplice confinamento spaziale. Hanno inoltre mostrato che il nuovo metodo è capace di descrivere in maniera accurata una parte significativa dell’interazione elettrone-fotone. Le metodologie sviluppate avranno un profondo impatto per la formulatione di tecniche innovative per il controllo chimica in cavità. Il lavoro è stato recentemente pubblicato su Nature Communications.

L’ottica quantistica si occupa dello studio delle interazioni tra i fotoni e le molecole all’interno di cavità ottiche, cioè nello spazio confinato tra due specchi altamente riflettenti. Cavità ottiche ideali possono ospitare solo certe frequenze della spettro luminoso. Inoltre, l’intensità del campo elettromagnetico associato è amplificata dal confinamento spaziale. Questo effetto induce profondi cambiamenti sulla reattività chimica di molecole inserite all’interno della cavità ottica.

In queste condizioni stati ibridi luce-materia chiamati polaritoni vengono formati e permettono una manipolazione ottica degli eventi reattivi. Questi fenomeni sono già stati osservati negli esperimenti eseguiti dal gruppo del Prof. Thomas Ebbesen all’Università di Strasburgo.  Tuttavia, la fisica di base di questi effetti non è ancora stata compresa nella sua completezza.

L’approccio più semplice usato comunemente dai chimici teorici per ottenere informazioni riguardo la reattività chimica è basato sull’analisi degli orbitali molecolari. Questo strumento permette di interpretare intuitivamente I comportamenti chimici attraverso una rappresentazione grafica degli elettroni nello spazio. 

L’interpretazione fornita dalla teoria orbitalica si confronta facilmente con i meccanismi di reazione utilizzati comunemente in chimica organica. Nonostante lo studio dell’interazione forte luce-materia stia diventando estremamente d’interesse per la comunità scientifica, fino ad ora una teoria orbitalica per molecole in cavità ottica non era stata ancora presentata.

Il lavoro di Rosario R. Riso, dottorando presso l’Università della Scienza e Tecnologia Norvegese (NTNU), e collaboratori, rappresenta la prima teoria orbitalica capace di descrivere consistemente gli effetti del campo elettromagnetico quantizzato sulle molecole. Questo approccio è capace di fornire un’interpretazione intuitiva alla reattività chimica catturando allo stesso tempo una parte significativa dell’interazione elettrone-fotone. Inoltre, questo approccio rappresenterà il punto di partenza per la formulazione di teorie perturbative ab initio per sistemi di elettroni e fotoni fortemente interagenti. “La nuova metodologia sarà anche di fondamentale importanza per descrivere, in maniera semplice, i processi di ionizzazione in cavità ottiche” riferisce Henrik Koch, professore ordinario alla Scuola Normale Superiore (SNS) e a NTNU e autore di riferimento del lavoro in dettaglio.

Il team è composto da ricercatori provenienti da diverse istituzioni Europee: la Scuola Normale Superiore (SNS) e l’Istituto per i Processi Chimico-Fisici del CNR (IPCF-CNR) entrambi con sede a Pisa in Italia e l’Università della Scienza e Tecnologia Norvegese (NTNU) a Trondheim in Norvegia.

Articolo di riferimento:

“Molecular orbital theory in cavity QED environments, R. R. Riso, T. S. Haugland, E. Ronca, H. Koch – Nature Communications, XXX, XXX, (2022)”

https://doi.org/10.1038/s41467-022-29003-2  


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https://www.nature.com/articles/s41467-022-29003-2