Nature Communications volume 9, Article number: 3148 (2018)
doi: https://doi.org/10.1038/s41467-018-05593-8
Kamil F. Dziubek, Martin Ende, Demetrio Scelta, Roberto Bini, Mohamed Mezouar, Gaston Garbarino & Ronald Miletich
L’anidride carbonica (CO2) è uno dei principali componenti dell’atmosfera terrestre, nonché uno dei maggiori gas serra. A dispetto dell’apparente semplicità di questa molecola, il suo diagramma di fase costituisce tuttora un campo di ricerca ricco di controversie ma di eccezionale importanza per la comprensione delle proprietà fondamentali della CO2 stessa, e del suo ruolo nei processi che avvengono all’interno della Terra.
In condizioni estreme di pressione e temperatura, la CO2 mostra una complessa serie di cambiamenti strutturali: al di sotto di 40 GPa (gigapascal, corrispondenti a circa 0.4 milioni di atmosfere) è nota l’esistenza di diverse fasi molecolari, stabili e metastabili, tutte costituite da molecole lineari O=C=O che interagiscono tra loro tramite deboli forze di van der Waals. A pressioni maggiori, invece, la struttura della CO2 subisce cambiamenti molto più importanti e, come osservato anche per altre molecole contenenti legami multipli, la pressione si rivela un mezzo straordinariamente efficace per indurre la polimerizzazione in sistemi insaturi. Tuttavia, la rottura e la formazione di nuovi legami pone elevate barriere energetiche per queste trasformazioni: ne consegue che, per temperature moderate, la compressione della CO2 produce un materiale amorfo vetroso noto come carbonia, equivalente alla silice fusa e costituito da un mix di atomi di carbonio tri- e tetra-coordinati, di fatto uno stato intermedio cineticamente stabile. A seguito di un riscaldamento più intenso, questa fase metastabile si trasforma in un solido cristallino covalente e ordinato chiamato CO2-V, con una struttura tipica anche della SiO2 (β-cristobalite, seppure parzialmente collassata). Questa fase V costituisce una fase termodinamicamente stabile della CO2 ad elevate pressioni (maggiori di 50 GPa, mezzo milione di atmosfere).
In questo lavoro si riporta il primo studio sperimentale del comportamento della CO2 in condizioni di temperatura e pressione comparabili con quelle dell’interfaccia tra mantello e nucleo terrestre, laddove ci si era limitati unicamente a considerazioni teoriche. Precedenti studi sperimentali, eseguiti in un intervallo di pressioni esteso fino a un massimo di 70 GPa, riportavano la dissociazione della CO2 in carbonio (diamante) e ossigeno (nella sua fase molecolare ε di alta pressione, costituita da unità O8). Questa osservazione poteva avere profonde implicazioni legate alla fugacità dell’ossigeno nel mantello, all’ossidazione dei minerali ivi contenuti e alla formazione di diamanti nelle profondità planetarie. Altri esperimenti mostravano piuttosto la formazione di fasi ioniche della CO2. Tutte queste osservazioni contrastano con i più recenti studi computazionali, che teorizzano la sostanziale stabilità della CO2 fino a 200 GPa e 10000 K.
L’esperimento è stato eseguito a pressioni comprese tra 85 e 120 GPa (quindi fino a un massimo di 1.2 milioni di atmosfere) e a temperatura di 2700 gradi kelvin. Un minuscolo campione di CO2 (40 micrometri, circa un ventesimo di millimetro) è stato compresso in una cella a incudine di diamante (DAC), un dispositivo che permette di generare pressione in modo statico e continuo su campioni di piccolo volume. Il campione è stato portato alla pressione di 85 GPa, attraversando il diagramma di fase a temperatura ambiente fino alla comparsa della fase amorfa di carbonia, ed è stato a quel punto riscaldato alla temperatura di 2700 K usando una tecnica chiamata laser heating, che permette di riscaldare piccoli campioni attraverso l’assorbimento di una radiazione laser di elevata potenza (nel nostro caso, un laser a CO2). Il riscaldamento ha provocato l’immediata trasformazione della fase amorfa in CO2-V, senza mostrare segni di dissociazione del campione in carbonio e ossigeno o della formazione di specie ioniche. Successivi riscaldamenti a maggiore pressione hanno permesso di rilasciare gli stress residui nel cristallo di CO2-V, senza modificarne la struttura. Il campione è stato caratterizzato per mezzo di diffrazione di raggi X presso il sincrotrone ESRF di Grenoble, tracciandone l’equazione di stato fino a 120 GPa, e tramite spettroscopia Raman presso i laboratori del LENS.
Questo studio sperimentale ha consentito di estendere l’intervallo di stabilità della fase V della CO2 fino a pressioni e temperature prossime a quelle della discontinuità di Gutenberg (l’interfaccia tra il mantello e il nucleo esterno), aggiornando il diagramma di stato della molecola per quanto riguarda le sue fasi estese covalenti e evidenziando come la fase V sia di fatto l’unica fase termodinamicamente stabile in questo intervallo di pressione e temperatura. Questa scoperta è di estrema importanza per chiarire il ruolo fondamentale svolto dall’anidride carbonica all’interno del ciclo del carbonio (il cosiddetto deep carbon cycle), non ancora del tutto compreso. Una grossa quantità di CO2 raggiunge infatti l’interno della Terra attraverso lo scorrimento delle placche le une sulle altre (subduzione), e solo una parte di essa viene restituita all’atmosfera attraverso le emissioni vulcaniche. Alla luce di questa scoperta, appare ragionevole che la CO2 possa non decomporsi all’interno del mantello adottando piuttosto la struttura della fase V. L’eventuale reattività chimica della CO2 con i minerali circostanti contribuisce a complicare ulteriormente la speciazione e la distribuzione di minerali carboniosi nel mantello.
Lo studio ha coinvolto tre ricercatori fiorentini, Demetrio Scelta (assegnista post-doc ICCOM-CNR), Kamil Dziubek (assegnista post-doc ICCOM-CNR) e il Prof. Roberto Bini (docente dell’Università degli Studi di Firenze e associato ICCOM-CNR), e la ricerca si è concretizzata nella collaborazione tra le strutture del Laboratorio Europeo di Spettroscopie Non-lineari (LENS) di Firenze, dell’Università di Vienna e della beamline di alta pressione ID27 presso il sincrotrone ESRF di Grenoble. In particolare, questo progetto testimonia ancora una volta l’importanza della collaborazione e della sinergia, ormai attiva da molti anni, tra le strutture del LENS e quelle dell’ICCOM-CNR e del Dipartimento di Scienze Chimiche e Tecnologie dei Materiali.